venerdì 13 luglio 2018

Contro la “lezione di prova”

«Prima di spegnere la lampada e di sedersi nella logora poltrona, raccolse il lieve pugno di cenere nel cavo della mano e sussurrò piano una parola. La rosa risorse».

Ormai è un mantra. Ogni due telefonate che arrivano per informarsi sul corso di teatro una contiene la domanda: "si può fare una lezione di prova"? O addirittura: "c'è la lezione di prova"? Che sancisce, nella seconda formulazione, l'istituzionalizzazione di questa situazione. Ebbene io mi trovo in grande difficoltà ogni volta. Perché non faccio lezioni di prova. Sono contrario alla lezione di prova; non capisco che cosa possa voler dire fare una "lezione di prova" e neppure che cosa si intenda per "prova". Che cosa un aspirante allievo voglia provare.
Questa sciagura della "lezione di prova", probabilmente, è stata considerata una geniale trovata di marketing dai suoi iniziatori: si attira il potenziale allievo attraverso una prima "lezione" happening, che non impegna perché "di prova", lo si fa sentire a suo agio, lo si fa divertire, si fa percepire l'attività come un bel momento di svago. Insomma lo si solletica e lo si porta all'iscrizione.
Io trovo odiosa questa situazione. E manipolatoria. Contraria all'essenza stessa dell'insegnamento dell'Arte (che è una pratica esoterica, ovvero - e so che su questo punto potrei trovare disaccordo - destinata a una parte e non a tutti). L’operazione nasce per mere esigenze di vendita, certo, ma si  inscrive in un contesto che a questo copione è favorevole. E’ infatti esattamente quello che chi si percepisce come utenza si aspetta da qualcosa che viene percepito come un servizio (servizio culturale ma pur sempre un servizio) e qui sta un altro errore. Una scuola d’Arte non è un servizio né l’Arte ha bisogno di sfaccendati che la sfiorino per divertimento ma di uomini e donne motivati a mettersi in discussione con umiltà e con fatica. La lezione di prova è lo specchietto per le allodole che ingannando i convenuti fa loro credere che l’Arte sia lì piacevolmente a disposizione. Ecco, il più insidioso degli inganni è far credere che le cose dell'Arte possano essere acquisite con immediatezza e senza la fatica. Senza le crisi, ovvero senza le scelte. Sì, le scelte. Perché l'Arte, il teatro in questo caso ma varrebbe per qualunque altra Arte, è qualche cosa che pretende tutto. Quante volte ho sentito le più varie scuse per giustificare una non iscrizione o un abbandono. Alcune davvero valide ma comunque scuse. Se si vuole fare qualcosa con determinazione la si fa, ad ogni costo. La lezione di prova solletica l'Io, il soddisfacimento dei suoi bisogni egoistici e immediati. Vi sono alcuni che si presentano all’avvio del corso come clienti di un servizio che deve essere di proprio gradimento. Provano un corso, poi ne provano un altro, saltando di corso in corso, di maestro in maestro, per cercare sul mercato quello con cui si trovano meglio. Ed è appunto per questo voler trovarsi bene che, probabilmente, non impareranno mai niente.
«Paracelso lo accompagnò ai piedi della scala e gli disse che in quella casa sarebbe sempre stato il benvenuto. Sapevano entrambi che non si sarebbero rivisti mai più. Paracelso rimase solo».
Soprattutto la lezione di prova introduce al concetto di "meta". Si fa questo per raggiungere quello. Ti mostro quel che puoi raggiungere. La verità è che nessuno sa quel che può raggiungere, e anzi nessuno raggiunge mai alcuna meta. Neppure dopo cinquant'anni di pratica d'Arte, mai.
L'Arte non ha bisogno di allievi e men che meno di clienti ma di discepoli. Di persone che seguono un cammino insieme con qualcuno che li guida e che li lascia liberi nel momento in cui non può più dar loro niente. E' il cammino l'importante e non la meta. Voler raggiungere la meta è una atto di superbia. Volerla raggiungere divertendosi è come voler scalare il monte bianco di corsa in tacchi a spillo. 
Certo, viviamo tempi inadatti a queste verità (che sono tali non perché le dica io ma perché sono costitutive della Tradizione). Può sembrare che tutto ciò sia respingente. Ma l'Arte è respingente. E' un percorso fatto di grandi sacrifici e di enormi conquiste sempre effimere. Di espugnazioni raggiunte passo dopo passo. Di sfiancamenti e di sacrifici, di ascesi. "Ogni passo che farai è la meta" dice il Paracelso di Borges al giovane che si presenta a casa sua per divenire sul discepolo e che però, per farlo, vuole una prova dal Maestro. Questo volere la prova è il più certo segno dell'inadeguatezza di quel falso discepolo. Che se ne andrà convinto di aver fatto bene ad andarsene. Ma non conseguirà mai la sapienza. Lessi questo racconto molti anni fa e mi fu duro comprenderne il significato. Solo oggi, dopo tanto tempo, comincio a capire la solitudine di Paracelso.

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