martedì 27 dicembre 2022

Black Beauty

Correvano gli anni 90. Quell'estate avevo partecipato, come bracciante agricolo, alla vendemmia e con i quattro spiccioli ricavati ero corso subito a comprarmi un amplificatore per la mia chitarra elettrica. Una Eko imitazione della “Gibson SG” a cui avevo modificato i pick up perché suonasse un po’ meglio di come faceva. Era il mio primo amplificatore, un bel “Peavey Bandit 75”. Avevo da poco iniziato a impartire lezioni di chitarra in una scuola di musica privata. Insegnavo in genere i rudimenti della chitarra classica a bambini e ragazzi. La classe di chitarra contemporanea però era vicino alla mia e ogni tanto facevo lezione pure lì nel caso fosse servito. Anche con la chitarra elettrica un po’ ci sapevo fare. Giunse lì in quel periodo un ragazzo che doveva imparare a suonare. Avrà avuto 15 anni o giù di lì. La prima lezione di chitarra contemporanea la feci io perché il titolare non c’era. Arrivò con la chitarra nuova, che i genitori gli avevano comprato perché iniziasse la carriera. Da una anonima custodia semirigida sguainò fiammante una clamorosa Gibson Les Paul custom. Ora, per chi non lo sapesse, la Gibson LPC specie la versione che aveva lui, detta Black Beauty, è una chitarra leggendaria, quanto di più fantastico un chitarrista possa avere tra le mani. Fu un colpo. Mi accorsi immediatamente delle iniquità, delle ingiustizie di cui il mondo era dispensatore. Quel tipo come primo strumento aveva in mano una chitarra che io non mi sarei potuto permettere manco nei sogni (neppure adesso - a dire il vero - visto che oggi il suo prezzo viaggia tra i 5000 e i 6000 euro). Il mio primo sentimento, lo confesso, fu di stizza. È come se ad uno che non ha neppure il foglio rosa il paparino gli portasse le chiavi di una Lamborghini per fargli fare pratica. Cercai di contenermi. Iniziammo la lezione e vidi come goffamente le mani di quel ragazzo arrancavano tra i capotasti. Pensai un pensiero. Pensai che chi gli aveva comprato quella meraviglia non aveva fatto il suo bene. Aveva proiettato in lui i suoi desideri, lo aveva investito di un dovere. Egli doveva essere all’altezza dello strumento fantastico che gli era stato donato (me lo vedevo il genitore chiedere con orgoglio nel negozio di strumenti la chitarra migliore che c’era sul mercato per suo figlio e il commerciante che non vedeva l’ora di piazzargli in mano la più costosa). Di più, lo avevano privato di una cosa fondamentale. Del desiderio. Io con la mia sgangherata Eko (che ancora adesso conservo) non avrei potuto permettermi tanto ma avrei potuto desiderare di giungere a possedere qualcosa di così bello, di così iconico. Avrei potuto migliorarmi; guardare a quel punto come a un faro lontano che mi avrebbe spinto in una precisa direzione. Lui, che in fondo, dopo averlo conosciuto meglio, non era affatto un cattivo ragazzo né un montato, che cosa avrebbe potuto desiderare? Lui avrebbe dovuto soltanto ringraziare. Non lo fece. Dopo un po’ di tempo smise di suonare ritirandosi dalla scuola. La musica non era nel suo destino. Ogni tanto ripenso a quella chitarra. Chissà che fine avrà fatto. Forse sarà stata venduta a qualcuno che l’avrà usata per quel che vale. O forse il suo destino sarà stato peggiore. Sarà stata dimenticata. Una Lamborghini in garage. Una meraviglia impolverata, costruita per mani virtuose, con le corde arrugginite, riposta per sempre dentro qualche armadio.